La figura di Franz Liszt viene spesso, a torto, associata a quella del grande virtuoso, protagonista degli eventi mondani della sua epoca trascurando invece la sua opera come intellettuale e divulgatore dell’arte. Anche del suo vastissimo repertorio pianistico, ancora oggi molte opere sono sconosciute al grande pubblico. Tutta la produzione musicale del compositore ungherese è sempre stata influenzata, fin dalle sue prime composizioni, da elementi sacri; che probabilmente preludevano a quel misticismo, non solo musicale che caratterizzerà soprattutto le sue ultime composizioni. Possiamo ricordare, su tutte, la celebre raccolta di brani pianistici intitolata: “Armonie poetiche e religiose”. Ma chiaramente, sono molte le sue composizioni ricche di suggestioni religiose; e questo aspetto della sua personalità, nonché della sua produzione artistica,lo rende una figura unica nel panorama del romanticismo europeo.
Secondo Renato di Benedetto, la morte del figlio Daniel, appena ventenne, avvenuta nel 1860 riaccese in Liszt quelle tendenze religiose che già una volta, durante una crisi negli anni giovanili, lo avevano portato ad un passo dalla decisione di vestire l’abito talare. Lasciata Weimar nel 1861, si rifugiò a Roma, dove nel 1863 entrò nell’Oratorio della Madonna del Rosario a Monte Mario, dove ricevette due anni più tardi gli ordini minori. Da questo momento il filone delle sue composizioni corali e sinfonico – corali di ispirazione religiosa si aggiunse al già ricco catalogo di composizioni pianistiche e sinfoniche.
Vogliamo ricordare fra queste composizioni la Messa di Gran (1855) risalente ancora agli anni di Weimar e scritta per la consacrazione della basilica dell’omonima città ungherese; nello stesso periodo inizia la stesura dei due grandi oratori: Die Legende der heiligen Elisabeth, e Christus; terminati rispettivamente nel 1862 e nel 1867.
Questi insieme alla Hungarische Kronungsmesse (messa ungherese dell’incoronazione), eseguita a Budapest durante la cerimonia d’incoronazione di Francesco Giuseppe come re d’Ungheria nel 1867, sono i titoli più monumentali d’un’ abbondantissima produzione di opere liturgiche ed extraliturgiche – per lo più corali, con un sobrio accompagnamento strumentale o con solo organo – che si sviluppa fino agli ultimi anni della sua vita.
In esse convivono, o talvolta si alternano, la variopinta ricchezza del nuovo linguaggio sinfonico e l’arcaicizzante “purezza” della restaurata polifonia vocale; il ripristino della scrittura contrappuntistica nel suo classico assetto delle quattro voci; che però non gli impedisce nelle opere più tarde la pratica di un audacissimo sperimentalismo armonico, che si spinge assai oltre le frontiere della tonalità.
Liszt compose la sua “Via Crucis” fra il 1878 e il 1879 a Roma, completandola a Budapest. Per questo lavoro scritto per il coro, soli e organo oppure pianoforte, Liszt scrisse la seguente introduzione in francese:
“La devozione delle stazioni della croce, chiamata Via Crucis, è diventata – in seguito alle affermazioni e ai numerosi consensi dei Pontefici – un servizio per le anime dei defunti così come un’osservanza religiosa che si diffuse in molti paesi e divenne persino popolare in alcuni di essi. In alcune Chiese noi possiamo trovare dipinti che mostrano le Stazioni della Croce, e i membri delle congregazioni recitavano le loro preghiere prima di ognuno dei dipinti appesi al muro. Qualche volta queste preghiere erano recitate da singole persone, altre volte da piccoli gruppi ed in quest’ultimo caso le parole delle preghiere erano divise tra di loro. In alcune congregazioni il Curato stabiliva la data e il tempo di ogni servizio ed egli stesso guidava la Via Crucis. Un organo non può essere usato nel primo caso menzionato, e similarmente quando le Stazioni della Croce sono rappresentate fuori dalla porta, come per esempio a S. Pietro in Montorio, a Roma.
È facile comprendere che la più solenne e più toccante devozione avveniva il Venerdì Santo al Colosseo, proprio nel luogo in cui i martiri avevano versato il loro sangue.
Forse qualche volta i quadri non erano del tutto soddisfacenti e così in seguito potrebbero essere stati sostituiti con opere d’arte create da Galli, lo scultore, e inoltre un grande harmonium potrebbe essere portato lì così che il suo suono possa supportare il canto.
Io sarei felice in ogni caso, se un giorno la mia musica potesse essere suonata lì, anche se sarebbe insufficiente ad esprimere la profondissima emozione che mi sopraffece quando, una volta lì, in quella processione, mi inginocchiai e ripetei alcune volte queste parole: O! Crux Ave! Spes unica!”